23 Ott “Portobello”, Tortora e la giustizia negata
Posted at 12:46h
in Cinema

L’immagine di Enzo Tortora in manette, dato in pasto a decine di giornalisti e telecamere, nel giugno del 1983, resta una ferita ancora aperta nella memoria del nostro Paese. In quel fotogramma si condensa tutta la violenza di un’ingiustizia: un uomo, volto amatissimo della televisione, trasformato in colpevole sotto lo sguardo di milioni di persone. “Portobello” – la nuova serie diretta da Marco Bellocchio e le cui prime due puntate sono state presentata fuori concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia – ricostruisce questa drammatica vicenda, uno dei capitoli più dolorosi e controversi della nostra storia recente. Attesa su HBO Max nel 2026 come prima produzione originale italiana della piattaforma, la serie interpretata da Fabrizio Gifuni intreccia il successo del celebre conduttore con il calvario che lo travolse negli anni Ottanta.
All’epoca, il programma “Portobello” era un fenomeno senza precedenti, capace di tenere incollati davanti alla televisione quasi trenta milioni di spettatori ogni venerdì sera. Tortora era diventato un volto familiare e amatissimo, tanto da ricevere dal Presidente Sandro Pertini l’onorificenza di Commendatore della Repubblica. Ma il 17 giugno 1983 la sua vita subì una svolta drammatica: sulla base delle accuse infondate di alcuni falsi pentiti della Nuova Camorra Organizzata, il conduttore viene arrestato all’alba in un albergo romano ed esposto alla ribalta mediatica con un drammatico impatto simbolico. Bellocchio ricostruisce con intensità quel calvario: dalle accuse di associazione camorristica e traffico di droga, alla condanna a dieci anni nel 1985 – nonostante l’elezione al Parlamento europeo e la scelta di rinunciare all’immunità per affrontare il processo – fino all’assoluzione definitiva nel 1987.
Bellocchio ne è convinto: “Enzo Tortora è morto di ingiustizia”. Non fu solo il processo a spezzarlo, ma il peso di una verità negata, di uno stigma che neppure l’assoluzione cancellò. Ma nonostante le sofferenze, Tortora seppe indicare un orizzonte più alto, insegnandoci che la vera giustizia non è solo applicazione delle leggi, ma capacità di riconoscere gli errori, correggere le ingiustizie e non trasformarsi mai in violenza. La civiltà del diritto, ci ricordava, si misura nella difesa degli innocenti e nella costante ricerca di una giustizia “giusta”, sempre rispettosa della dignità di ciascuno.