“Festa di Laurea” e la borghesia del dopoguerra

 

 

Un bacio, nel giorno in cui l’Italia entrava in guerra, che il tempo non ha cancellato. È il 10 giugno 1940 quando Gaia – elegante e spensierata figlia della borghesia – posa le labbra su quelle di Vanni, il figlio della cuoca di famiglia. Un gesto impulsivo, destinato però a lasciare un segno profondo nella vita di lui. Anni dopo, i loro destini tornano a incrociarsi in un Paese che prova a ricostruirsi, tra le ferite ancora aperte e il desiderio di #rinascita. In questa fragile sospensione tra passato e futuro, Pupi Avati ambienta “Festa di Laurea” (1985): un racconto tenero e malinconico sull’Italia del dopoguerra, dove una piccola storia privata diventa il ritratto corale di un popolo.
Siamo negli anni ’50: Vanni, interpretato da un intenso Carlo Delle Piane, è diventato un fornaio: un uomo semplice, abituato al lavoro, alla fatica, e a una vita che non lascia spazio ai sogni. Quando Gaia, una magnetica Aurore Clément, gli chiede di sistemare il casale di famiglia nella campagna romagnola per organizzare la festa di laurea della figlia Sandra, Vanni accetta. Non per ambizione o convenienza, ma per il desiderio, fragile e ostinato, di rivivere anche solo per un istante l’emozione di quel lontano bacio. Aiutato dal figlio Nicola – un indimenticabile Nik Novecento – Vanni si dedica con passione a riportare il casale ai fasti di un tempo. E tra luci da sistemare, dolci da preparare e muri da imbiancare, la festa prende forma come un piccolo film dentro il film: un racconto sulla #ricostruzione, sulla speranza, e sulla dignità di chi lavora per dare bellezza alle cose.
Tutto sembra perfetto. Eppure, la realtà è diversa: la laurea della figlia di Gaia è una menzogna, e la festa si trasforma in un teatro di vanità e meschinità borghesi, dove contano solo l’apparenza e il giudizio degli altri. Vanni, ingenuo e sincero, ne resta ferito, spettatore disilluso di un mondo che non gli appartiene.
La villa, le luci, il mare, i volti: tutto nel film respira come un ricordo vivido e sospeso nel tempo. Le musiche di Riz Ortolani, premiate con il David di Donatello, avvolgono ogni scena di #poesia e malinconia. Avati non giudica, ma osserva con dolcezza la distanza tra verità e apparenza, tra ciò che siamo e ciò che vogliamo sembrare. E quando la notte finisce e resta solo il rumore del mare, Vanni – piccolo uomo in un grande sogno – diventa l’immagine più autentica di un’Italia che, per andare avanti, deve prima imparare ad accettare la propria fragilità.
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