24 Nov “Profondo Rosso”, il lato oscuro della famiglia
Posted at 09:36h
in Cinema

Una nenia infantile, innocua ma al contempo sinistra, riecheggia nel silenzio di un teatro vuoto accompagnata da ombre che si allungano e dalla minacciosa sagoma di un coltello. Mezzo secolo dopo, quella melodia e quelle immagini restano impresse nella mente come un eco indelebile di inquietudine e fascinazione, un frammento di cinema capace di catturare e spaventare al tempo stesso. Nel 1975, in un’Italia segnata dalla strategia della tensione, Dario Argento porta “Profondo Rosso” oltre i confini del classico giallo italiano, spingendolo nel territorio dell’horror puro, dove la #paura diventa tangibile e la violenza non è più solo esterna ma si insinua nella quotidianità. Un universo in cui l’incubo assume volti familiari e in cui lo spazio domestico, invece di offrire protezione, si trasforma in un luogo in cui tutto può incrinarsi.
La trama si apre con un delitto efferato: il pianista inglese Marcus Daly (David Hemmings) assiste all’omicidio della sensitiva Helga, ma non riesce a cogliere un dettaglio che potrebbe rivelare l’identità dell’assassino. Ed è proprio da quell’immagine non messa a fuoco che Argento costruisce un meccanismo narrativo perfetto: un incessante interrogarsi sulla veridicità dello #sguardo che mette continuamente in dubbio la percezione dello spettatore. L’indagine che Marcus decide di condurre, aiutato dalla giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), porta a un oscuro passato sepolto in una villa abbandonata. Ed è qui che il regista smantella l’idea tradizionale di focolare domestico: la casa non protegge, ma intrappola; non conserva ricordi, ma nasconde segreti. La famiglia – pilastro della tradizione italiana – si incrina sotto il peso delle confessioni di Carlo (Gabriele Lavia), amico fragile e tormentato del protagonista, e soprattutto della figura della madre, interpretata dalla storica diva del muto Clara Calamai.
“Profondo Rosso” – disponibile su Prime Video – è un film sorprendentemente attuale, che colpisce per la sua potenza visiva e per una regia che sfiora il visionario, capace di esplorare i meandri dell’inconscio e dell’#irrazionale. La colonna sonora dei Goblin, che Argento avrebbe voluto affidare ai Pink Floyd, trasforma ogni scena in un’esperienza ipnotica con riff psichedelici e melodie ossessive come “Profondo Rosso”, “Mad Puppet” e “Death Dies”. Gli effetti speciali di Carlo Rambaldi, con il memorabile pupazzo meccanico Pasqualino, trasformano ogni momento in un interrogativo sul confine tra realtà e artificio, tra percezione e inganno.